Siamo all'epilogo del lungo inverno che ha lasciato con il fiato sospeso governi e mercati, banchieri centrali, diplomatici ed economisti, alle prese con lo spettro di un evento fino a poco tempo fa inconcepibile: il primo fallimento di un paese di Eurolandia, ovvero il default della Grecia.
Riavvolgendo la pellicola al 18 novembre si trova l'intera penisola ellenica incollata ai teleschermi, esultante nel vedere sul campo fangoso di Donetsk un tedesco, l'allenatore della nazionale, l'ostinato difensivista Otto Rehhagel, portato in trionfo dai giocatori dopo la vittoria per 1 a 0 sull'Ucraina che schiude l'accesso ai campionati mondiali. In quelle stesse ore, si accentua pericolosamente il divario degli spread dei rendimenti dei bond greci su quelli tedeschi e iniziano quattro mesi di passione, che porteranno il popolo di Atene a valutare con ben altro umore il rigore teutonico, applicato non alla tattica calciistica ma ai conti pubblici altrui.
Di certo non mancano le colpe a una gestione greca delle finanze pubbliche già più volte accusata da Bruxelles di aver truccato i numeri. Anche se il governo del socialista George Papandreou, da poco insediato a fine 2009, non manca di attribuire il buco al predecessore conservatore, Costas Karamanlis, come quest'ultimo aveva del resto a sua volta fatto nel 2004 nei confronti del predecessore socialista.
Dopo il default di Dubai, i mercati alla fine di novembre puntano i fari con preoccupazione sulla Grecia. Si teme un contagio globale che investa anche Eurolandia, partendo dall'anello debole ellenico. Proprio il giorno dopo l'impresa calcistica greca in Ucraina il rendimento dei titoli greci sale di altri 13 punti base raggiungendo il tasso del 4,98%, rispetto al 3,27% dei bund tedeschi, una nuova voragine per il Tesoro greco costretto così a pagare un sovrapprezzo per non rischiare di vedere andare deserte le aste. Il problema è che il deficit greco dalle previsioni per il 2009 del 3,7% rispetto al Pil, è schizzato al 12,7%. Il debito viene dato al 112,9% del 2009 ma al 125,7% nel 2010, senza un piano di austerità.
La Commissione europea, sempre più impaziente, ha appena aperto una procedura di deficit eccessivo. Il Consiglio Ue vuole evitare di applicare sanzioni che potrebbero avere un efffetto controproducente, ma sale la preoccupazione, anche per l'esposizione delle banche di Francia e Germania nei confronti di Atene. Per la prima volta si tocca con mano l'indeguatezza dell'armamentario sanzionatorio del Patto di stabilità, che non offre percorsi di recupero condizionato a un paese in difficoltà. «Non chiediamo la luna, solo la sospensione del vostro scetticismo nei confronti della Grecia» dice l'1 dicembre ai colleghi dell'Eurogruppo George Papaconstantinou, il ministro delle Finanze greco, invocando tempo per raddrizzare deficit e debito. «La Grecia di sicuro dovrà pagare di più per finanziare il debito, ma il rischio di un suo fallimento è vicino allo zero perché può contare sul sostegno dell'Unione europea», assicura Joaquin Almunia, commissario uscente agli Affari economici. Anche il presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, esclude il rischio di bancarotta.
Ma proprio questo diventa il punto cruciale del dibattito nelle cancellierie europee e sui mercati: quanto probabile è l'ipotesi di un default di Atene? E chi dovrebbe eventualmente intervenire per impedirlo? I paesi dell'Eurozona o l'Fmi? La Grecia non è Dubai, e nemmeno la Lituania o l'Islanda. E' un paese che condivide con altri 15 una moneta chiamata euro. «Ma un fallimento della Grecia è veramente una tragedia?» chiede provocatoriamente da queste colonne il 16 febbraio l'economista Roberto Perotti, negando la presenza di un rischio sistemico e prospettando un percorso tipo Argentina per Atene; anche Luigi Zingales (sulle colonne del Sole-24 Ore) sostiene che lasciar sola la Grecia aiuterebbe l'Europa, immaginando addirittura un'uscita dalla Ue della repubblica ellenica, mentre Martin Feldstein delinea i benefici di un ritorno di Atene alla dracma con il diritto-dovere di rientrare successivamente con un rapporto più favorevole, dopo aver goduto di un periodo di svalutazione della propria valuta. Ipotesi giuridicamente impossibili in quanto non contemplate dai Trattati, ricorda Luigi Spaventa - sempre sul Sole - sottolineando il vincolo indissolubile che lega la Grecia all'euro. E una maggioranza di economisti e commentatori prende posizione per un sostegno collettivo al Governo greco, soprattutto se impegnato sulla strada del risanamento. Tra questi il primo membro italiano del board della Bce, Tommaso Padoa-Schioppa, che afferma la necessità che Atene non sia lasciata sola dall'Unione europea.
Ci si divide sempre più in Europa, anche a livello politico, e ci si chiede se l'eventuale intervento di salvataggio debba essere svolto con una regia del Fondo monetario internazionale o dei paesi dell'eurozona, che sono però sprovvisti di uno strumento ad hoc. La divisione non si limita a un asse anglo-sassone più favorevole a un intervento del Fmi e a un'Europa continentale propensa a una soluzione in seno a Eurolandia, con l'appoggio della Bce. Anche la Germania si dimostra divisa. Il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble lancia il progetto di ampio respiro di allestire un Fondo monetario europeo, aggiungendo però un arsenale di sanzioni e la possibità di punire con l'espulsione dall'euro un paese recidivo. La cancelliera Angela Merkel si dichiara però vicina al partito dell'ex membro del board della Bce, Otmar Issing, e della bavarese Csu che spingono per lasciare al Fmi la patata bollente greca.
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